SCARTO 00 | INTENZIONI
A cura di @filoferro_architetti
Edito da @concretipo
Ph. @edoardofanteria
La città contemporanea, nel suo lento ma continuo moto, accompagna alterazioni urbane spesso polverizzate sul territorio, che non seguono una pianificazione precisa ma piuttosto operano in maniera puntuale su determinate aree. Queste trasformazioni azionano un processo attraverso il quale vengono circoscritti, definiti ed esclusi gli spazi interstiziali, quelli non progettati, quelli in attesa. Questi vengono momentaneamente occupati da qualsiasi forma di vita non calcolata – non riconosciuta dal sistema città – capace di dar loro una nuova identità ed una nuova prospettiva. Lo spazio residuale rappresenta una sfida ed al tempo stesso una risorsa. Lo si può considerare come un nuovo terreno da esplorare ed analizzare, da manomettere attraverso pratiche progettuali. Lo si può considerare e paragonare però, anche all’unica possibilità di evasione, un campo fuori registro all’interno del quale muoversi sottotraccia e con estrema cautela. La riflessione che viene posta è dunque come agire, se agire, sullo spazio in attesa, come codificarlo e aggredirlo, come inserirlo all’interno di un disegno più ampio fatto di interrelazioni o come salvaguardalo, considerandolo unico esempio capace di resistere all’espansione lenta ma perpetua, oramai satura e prevedibile, della città.
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Il secolo XXI, per quanto possa apparire distante dal weekend postmoderno di Pier Vittorio Tondelli, è un grande catalizzatore, un enorme parco giochi in continuo movimento fatto di suggestioni e citazioni. Noi, nuova classe di architetti, assorbiamo lentamente ma con costanza e spensieratezza spietata queste pulsazioni, nella nostra professione come in ogni altra pratica quotidiana. Siamo la generazione di mezzo, un ponte di esperienze costituito da giovani uomini e giovani donne consapevoli della potenza smisurata del digitale ma pieni di nostalgie e ricordi analogici. Abbiamo la fortuna di aver osservato i nostri territori con occhi e tempi diversi rispetto alle passate generazioni.
Dunque poniamo a noi stessi e agli autori una domanda più che legittima: considerando le dinamiche attuali che influenzano noi ed il nostro lavoro, quale ruolo riveste l’architetto nella contemporaneità? Attraverso quali strumenti si misura con il proprio contesto culturale? Quale l’approccio?
Sette giovani studi attivi sul territorio fiorentino rispondono a questa provocazione, scattando una foto di gruppo in un luogo preciso e in periodo storico ben definito.
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Video intervista
“FXXI incontra Adolfo Natalini. 8 studi, 8 domande”
Il concetto di affezioni si lega necessariamente alla memoria dei luoghi che abbiamo vissuto e delle architetture che abbiamo consumato. Si specifica nel tempo, accentuando la sensibilità nei confronti dei nostri paesaggi. Ci hanno insegnato che vedere è diverso da guardare e tutti questi sguardi che abbiamo disperso nel nostro tempo si accatastano in maniera più o meno ordinata per essere ritrovati nella nostra breve memoria, costituendo forse un metodo. Si attiva, attraverso l’esperienza, un processo prossimo al maniacale, dove ogni cosa trova un suo perché o dove, quantomeno, si cerca di scovare il perché di ogni cosa. Una raccolta di note autobiografiche riempie le pagine di un diario retroattivo fatto di progetti anonimi e noti. Queste architetture vengono custodite ed entrano a far parte di un catalogo interiore di conoscenze, di spinte elettriche che assemblate, costituiscono il ventre di ogni architetto.
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In questo primo atto sono raccolte alcune selezionate testimonianze ed esperienze riguardo strumenti necessari a comunicare e a costituire un’idea di spazio, un progetto di architettura. Strumenti che si muovono in controtempo rispetto al ritmo serrato delle infinite e bellissime immagini proposte quotidianamente sui nostri piccoli schermi. Strumenti che si portano dietro un’imperfezione ed una relatività del tutto umana. Tutti questi modi di mettere in scena l’architettura che qui raccontiamo, perseguono una dimensione artigianale del mestiere. Il disegno, la parola, l’oggetto, il fermo immagine di una prospettiva urbana necessitano fondamenta teoriche solide e tempi di produzione. Ci piace definirli ancora analogici, seppur supportati dalla tecnica dei nostri giorni. Strumenti che l’architetto sta riscoprendo e riproponendo in una lettura che ha tutte le regole del contemporaneo ma persegue un metodo senza tempo.
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